Ecco il testo letto sabato 24 marzo al corteo a Milano:
Oggi siamo in piazza per dire forte e chiaro che quello che sta succedendo nella striscia di Gaza è un genocidio al quale vogliamo opporci.
Ma dirlo, anche in tanti, non basta. Quello che è necessario è provare a creare un rapporto di forza per cui al governo e alla classe industriale italiana non convenga continuare a sostenere questo massacro. È chiaro che detto così sembra quasi impossibile, la controparte è molto più forte e organizzata di noi. Ma questo presuppone immaginarsi uno scontro frontale. Però non è così che chi lotta per la libertà riesce a segnare punti in favore del campo degli sfruttati.
Voglio raccontare un piccolo episodio che, però, riguardando muri e frontiere, credo sia calzante.
Nel 2015 l'Austria dichiarò di voler costruire un muro al Brennero, per fermare la rotta migratoria verso il Nord Europa. Nel 2016 iniziarono i lavori. Come compagni del Trentino decidemmo di provare ad opporci a quest'opera. Ci furono iniziative informative, blocchi dei treni, dell'autostrada, sabotaggi e un corteo, il 7 maggio 2016. La parola d'ordine di quella giornata, e più in generale della mobilitazione, era: “Se non passano le persone, allora non passano nemmeno le merci”, perché il passo del Brennero è uno snodo logistico fondamentale. Il 7 maggio ci siamo scontrati con la polizia, ma siamo riusciti a bloccare ferrovia e autostrada.
Il muro non è stato poi costruito. Non sapremo mai quanto la campagna che abbiamo portato avanti abbia influito sulla decisione del governo austriaco, ma siamo ancora oggi convinti che l'angolo d'attacco che avevamo scelto fosse quello giusto: far sì che le scelte che vogliono imporci dall'alto, fregandosene delle vite di chi cerca di fuggire da guerre, devastazioni ambientali e povertà, abbiano per loro un prezzo. Perché questo è l'unico linguaggio che chi detiene il potere politico ed economico capisce. Ed è l'unico modo per influire sulle scelte di chi ci governa: non bastano le nostre sacrosante buonissime ragioni, serve mettere del peso sul piatto della bilancia.
Il tribunale di Bolzano, con tre diversi processi, ci ha condannati per quella giornata di lotta a quasi 140 anni di carcere e questo non perché ci siano stati chissà quali danni, ma perché vogliono spaventare chi si mette in gioco in prima persona, vogliono far sì che anche noi ci facciamo i conti prima di scendere in strada.
Il 5 marzo la Corte di Cassazione si esprimerà sul terzo troncone del processo, nel quale ci hanno affibbiato più di 125 anni di carcere. Abbiamo chiamato una settimana di solidarietà con gli imputati e le imputate del processo del Brennero, dal 26 febbraio al 5 marzo, con un corteo a Trento il 2 marzo e uno a Bolzano il giorno dopo. Questo non solo perché non vogliamo finire in galera, ma soprattutto perché pensiamo che sia assolutamente vitale far sentire allo Stato che chi lotta non è solo, che se anche ci reprimono ci sarà sempre qualcuno che andrà avanti a battersi, che le loro divise, i loro tribunali, le loro galere non saranno mai sufficienti a fermare il desiderio di libertà e di giustizia.
Questo processo non è il problema privato di un pugno di anarchici, ma riguarda chiunque voglia continuare a lottare e credere che il modo migliore per cambiare le cose sia mettersi in gioco in prima persona, ostacolando gli interessi dei potenti e colpendo questo sistema nei suoi innumerevoli nervi scoperti.
Basta guardarsi intorno per trovare gli intrecci tra il capitalismo nostrano e il colonialismo israeliano. Perché, da che mondo è mondo, l'unico modo di cambiare le cose è provare a ribaltare i rapporti di forza e questo non si fa solo nelle piazze. Perché, da che mondo è mondo, la miglior difesa è l'attacco e la solidarietà tra chi lotta.
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