Karl Kraus scriveva che il nazismo è la frase fatta in azione, la chiacchiera da
bar o da autobus che si organizza. È quello che è accaduto in un piccolo paese
del ferrarese, dove dodici donne immigrate sono apparse come il nemico da
fermare; è quello che è accaduto qualche giorno fa a Soraga, in Val di Fassa,
dove per impedire l'arrivo di una trentina di immigrati qualcuno è ricorso
all'incendio di un hotel. Episodi simili si vanno diffondendo in Italia e in Europa.
Mentre i padroni impongono misure economiche e politiche ogni giorno più
draconiane senza incontrare alcuna resistenza, il crescente rancore sociale si
indirizza verso gli stranieri poveri, capro espiatorio del malessere collettivo.
Mentre si continua a sostenere che la storia sia maestra di vita, tanti nostri
contemporanei abboccano allo stesso amo avvelenato.
L'organizzazione di corsi per formare studenti al volontariato nella cosiddetta
accoglienza dei profughi sembrerebbe andare in direzione contraria.
Ma è davvero così?
Filo spinato, campi di concentramento, retate della polizia, “centri di
accoglienza” sono in realtà elementi complementari per selezionare
manodopera ricattabile e a basso prezzo. A questo serve l'ipocrita distinzione
tra “profughi” e “migranti economici”: a scegliere quale materia umana integrare
nelle maglie dello sfruttamento e quale respingere come merce avariata. Non
solo sui profughi si è costruito un gigantesco affare, ma si usa la loro presenza
per abbassare ulteriormente le condizioni di lavoro. Anzi, per imporre la
mentalità secondo la quale essere pagati per lavorare è già un privilegio. Ecco
allora i profughi mandati a raccogliere gratis la merda dei piccioni per le strade
di Rovereto. Ecco i tirocini gratuiti presso le aziende a cui abituare gli studenti
medi. Ed ecco, nel caso di SuXr, il mercanteggio fra crediti universitari e 100
ore di volontariato nella cosiddetta accoglienza. Quando certe forze politiche
rivendicano i “lavori socialmente utili” (gratuiti o pagati due euro l'ora) per i
disoccupati italiani e non per i profughi rivelano esattamente qual è la tendenza:
la stessa che produsse i campi di lavoro nella Germania degli anni Trenta.
Ma poi, siamo così sicuri di essere noi i buoni?
Espulsione e integrazione si basano sulla stessa mentalità coloniale. “Già li
accogliamo: che imparino le regole della convivenza, non protestino e dicano
grazie”. Chi protesta viene immediatamente espulso dai progetti della
Provincia, come è successo un po' di mesi fa a nove immigrati “rei” di aver fatto
un blocco del traffico per dire la loro sulla cosiddetta accoglienza.
Se queste donne e questi uomini arrivano qui da noi non è perché noi siamo
buoni, ma perché abbiamo distrutto le loro terre.
Senza interrogarci profondamente sulle cause dell'attuale esodo di massa ‒
che solo in percentuali ridicole tocca l'Europa ‒ metteremo a tacere le nostre
coscienze (e, già che ci siamo, guadagneremo qualche credito), diventando
tutt'al più la ruota di scorta “umanitaria” della macchina capitalista.
Se invece vogliamo scendere dal nostro piedistallo coloniale, cominciamo a
dirci e a dire che siamo complici delle guerre e degli altri disastri fatti in nome
nostro nella misura esatta in cui non facciamo nulla per impedirli.
Da cosa si capisce se cominciamo davvero a mettere in discussione i nostri
miserabili privilegi? Dai grandi risultati immediati? No, dal fatto che smettono
applausi e crediti istituzionali.
abbattere le frontiere
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